Le controindicazioni farmacologiche nel Glaucoma

Si sa che riguardo alle controindicazioni farmacologiche nel glaucoma esiste una certa confusione e la maggior parte dei medici non specialisti ha una certa difficoltà nel districarsi in questo problema.

 

Il motivo risiede soprattutto nel fatto che gli oculisti, fin dall'inizio, hanno commesso l'errore di attribuire il termine di glaucoma a tutte le malattie che decorrono con un aumento della pressione dell'occhio, dimenticando che quest'ultima è semplicemente un sintomo, che finisce quindi con l'essere presente in tante malattie, spesso molto diverse tra di loro, con indicazioni e controindicazioni farmacologiche totalmente differenti.

 

Naturalmente sono nate diverse classificazioni per cercare di suddividere le varie forme di glaucoma, ma come sempre quando di classificazioni ce ne sono molte, nessuna è in grado di soddisfare tutte le esigenze.

 

Si vedrà comunque di chiarire un po' le cose per cercare di mettere ordine in questo argomento, ma prima di affrontarlo è bene chiarire i meccanismi che determinano la pressione endoculare, bisogna quindi parlare di idrodinamica oculare.

L'Idrodinamica Oculare

Anatomia dell'occhio | Dr. Roberto Carnevali

Per comprendere l'idrodinamica oculare occorre fare una premessa per spiegare, almeno a grandi linee, l'anatomia dell'occhio ed il modo più semplice per comprenderla è quello di risalire alla sua origine embrionale come prolungamento del nervo ottico.

 

Prima di tutto precisiamo che il nervo ottico non è un nervo periferico.

Questi ultimi infatti sono costituiti dal primo neurone sensitivo collegato al fotorecettore, che poi raggiunge il sistema nervoso centrale o il midollo spinale dove contrae sinapsi col secondo neurone, che si riveste di mielina e decorre lungo la sostanza bianca.

 

I recettori dell'occhio sono i coni e i bastoncelli collegati alle cellule bipolari, che rappresentano quindi il primo neurone sensitivo.

Queste ultime formano uno strato nello spessore retinico, dove contraggono sinapsi col secondo neurone, rappresentato dalle cellule ganglionari, che poi decorrono lungo la superficie della retina e vanno a convogliare verso la papilla ottica.

Qui si rivestono di mielina ed escono dall'occhio, formano il nervo ottico e attraverso questo raggiungono il corpo genicolato.

Da notare che durante la vita embrionaria le cellule ganglionari sono rivestite da mielina anche sulla superficie della retina.

Solo in seguito il rivestimento mielinico si retrae fino alla testa del nervo ottico, ma in alcuni casi può succedere che questa retrazione sia incompleta.

Si tratta della persistenza di fibre mieliniche, che può essere osservata in certi casi come un alone bianco attorno al disco ottico.

 

Il primo neurone quindi, formato dalle cellule bipolari, è confinato nello spessore retinico, mentre il nervo ottico è in realtà formato dal secondo neurone sensitivo.

Ne deriva che i nervi ottici non sono nervi periferici, bensì una estroflessione della sostanza bianca encefalica, contenente fibre mieliniche e rivestiti dalle meningi.

A riprova di questo si può osservare come il nervo ottico non è colpito dalle malattie che possono affliggere i nervi periferici mentre è soggetto alle patologie del sistema nervoso centrale come la sclerosi multipla, che colpisce appunto le fibre mieliniche.

 

L'occhio rappresenta la continuazione del nervo ottico e può essere considerato come una sfera con la parete composta da tre membrane sovrapposte, che nella porzione anteriore si modificano cambiando la propria struttura.

 

La membrana più esterna è la sclera, di colore bianco, rappresenta il guscio più rigido e può essere considerata come il prolungamento della dura madre, vale a dire la meninge più esterna che riveste il nervo ottico.

Nella porzione anteriore la sclera diventa trasparente e si trasforma in cornea, che rappresenta anche una importante lente dell'obiettivo oculare.

Struttura dell'occhio | Dr. Roberto Carnevali

La membrana intermedia è la coroide, la tunica vascolosa dell'occhio.

E' ricchissima di vasi sanguigni, svolge la funzione di nutrire le altre membrane e inoltre la grande quantità di flusso sanguigno che vi scorre attraverso funge anche da sistema di raffreddamento dell'occhio, all'interno del quale viene convogliata la luce e per di più focalizzata sulla retina.

Può essere considerata come il prolungamento della tunica vascolosa dell'encefalo, vale a dire pia madre e aracnoide.

Nella porzione anteriore la coroide si trasforma prima in corpo ciliare e poi in iride che presenta poi il foro centrale della pupilla.

 

La membrana più interna è la retina, che rappresenta invece la continuazione delle fibre nervose.

Queste, rivestite da mielina lungo il nervo ottico, perdono la guaina una volta penetrate nel bulbo oculare.

Nella porzione anteriore la retina si assottiglia fino a scomparire.

 

All'interno dell'occhio troviamo poi il cristallino che ha un'origine embriologica un po' particolare.

Si tratta infatti di una porzione di ectoderma tegumentario, che viene catturato dalla vescicola ottica ed inglobato all'interno del bulbo oculare.

 

Il cristallino è una lente ed assieme alla cornea costituisce l'obiettivo oculare.

E' appeso al corpo ciliare attraverso una serie di fibrille che formano la zonula dello Zinn o apparato sospensore del cristallino e, come vedremo meglio in seguito, ha la capacità di modificare il proprio potere permettendo la focalizzazione degli oggetti a distanza ravvicinata.

Il cristallino, dal punto di vista anatomico ed anche chirurgico, separa il segmento anteriore

da quello posteriore dell'occhio.

 

La cavità oculare, quella che sta dietro al cristallino e che occupa il maggior volume del bulbo, è definita cavità vitrea e riempita da umore vitreo.

Questo non è un liquido, ma un tessuto vero e proprio, di origine mesodermica, trasparente, gelatinoso e filante, poverissimo di cellule e costituito quasi interamente da sostanza intercellulare.

E' abbastanza inerte e, contrariamene a quanto alcuni possono pensare, non ha nessuna importanza nel determinare la pressione oculare.

 

A condizionare la pressione dell'occhio è invece il liquido che sta nella porzione anteriore, davanti al cristallino e che occupa un volume tutto sommato modesto.

Si tratta dell'umore acqueo situato quindi tra la faccia anteriore del cristallino e quella posteriore della cornea.

In mezzo, immersa in questo liquido, c'è l'iride con il foro della pupilla ed è proprio l'iride a rappresentare la separazione della camera dell'acqueo nelle sue due porzioni, la camera anteriore e quella posteriore.

 

La prima, più ampia, è delimitata dalla faccia posteriore della cornea e da quella anteriore dell'iride.

Quella posteriore, molto più piccola e quasi virtuale, è delimitata dalla faccia posteriore dell'iride e da quella anteriore del cristallino.

Le due camere comunicano tra di loro attraverso la pupilla.

 

Parlando dell'umore vitreo si è detto che si tratta di un tessuto sia pure poverissimo di cellule e composto quasi interamente da sostanza intercellulare.

L'umore acqueo invece è un prodotto di secrezione, in pratica un ultrafiltrato di plasma, che viene continuamente immesso all'interno dell'occhio e da qui fuoriesce creando una vera e propria circolazione.

Si tratta fondamentalmente di acqua e di sali minerali in assenza di proteine o di altre sostanze ad alto peso molecolare.

Trabecolato in 3D | Dr. Roberto Carnevali

La produzione dell'umore acqueo avviene a livello del corpo ciliare attraverso un meccanismo di pompa attiva.

L'umore acqueo così formato viene quindi riversato dietro all'iride, nella camera posteriore.

Da qui, attraverso la pupilla, passa nella camera anteriore.

La fuoriuscita dell'acqueo dall'occhio avviene nel punto in cui la cornea si incontra con la radice dell'iride e quindi all'apice del cosiddetto angolo iridocorneale.

In corrispondenza di questo punto di intersezione tra iride e cornea trova posto il cosiddetto trasecolato corneoslerale.

Si tratta di una struttura spugnosa, formata da un intreccio di canalicoli, finemente anastomizzati tra di loro che in pratica filtrano l'umore acqueo.

I canali del trabecolato finiscono tutti in comunicazione con un ampio canale anulare, situato più esternamente, il Canale di Schlemm, che raccoglie tutto l'umore acqueo.

Da questo canale si dirama poi un certo numero di canali collettori, diretti in senso radiale, che sono in comunicazione con le vene episclerali.

In questo modo l'umore acqueo, che fuoriesce dall'occhio, viene riversato nella circolazione venosa.

 

Si è detto prima che la produzione dell'umore acqueo avviene attivamente, a livello del corpo ciliare, attraverso un meccanismo di pompa attiva.

La fuoriuscita invece si verifica passivamente, in virtù del gradiente di pressione che si instaura tra l'interno dell'occhio e le vene episclerali, che hanno mediamente una pressione di 10 mm.Hg.

 

La pressione endoculare dipende allora dalla quantità di umore acqueo che viene prodotta nell'unità di tempo, dal gradiente di pressione che si determina tra l'interno del bulbo oculare e le vene episclerali e dalla resistenza offerta dal trabecolato al passaggio del liquido.

Questo equilibrio fa si che all'interno dell'occhio si generi una pressione positiva, che in media si aggira attorno ai 15 mm.Hg. e che permette all'occhio di mantenere una certa tensione.

 

Quando la pressione, per svariati motivi, supera un certo valore si può instaurare una sofferenza del nervo ottico che può condurre alla sua atrofia, con conseguenze anche molto importanti sulla visione.

 

Come vedremo questo si può verificare per diverse cause, non sempre completamente chiarite, e che stanno alla base dei differenti tipi di glaucoma, che spesso presentano caratteristiche molto diverse, con indicazioni e controindicazioni farmacologiche differenti.

 

Come si è detto sono state tentate diverse classificazioni del glaucoma, forme acute e croniche, primitive e secondarie o ad angolo aperto e stretto.

Nessuna di queste classificazioni sembra però in grado di comprendere efficacemente tutte le forme, forse perché sotto questo termine generico sono state comprese tutte quelle malattie che hanno in comune l'ipertensione endoculare come sintomo, ma che inevitabilmente presentano caratteristiche molto distanti, per cui non dovrebbero trovare posto in una classificazione comune.

 

Una distinzione che però merita di essere considerata, almeno perché permette di mettere un po' di ordine tra queste svariate malattie, prevede di dividerle in primarie e secondarie, dove con quest'ultimo termine si intendono tutte quelle forme in cui l'aumento della pressione dell'occhio si verifica come conseguenza di un'altra malattia, oculare, ma anche extraoculare.

Glaucomi Secondari

I glaucomi secondari sono numerosissimi anche se tutto sommato non sono così frequenti.

La loro trattazione esula dagli scopi che ci siamo prefissati e non ho l'intenzione di elencarli tutti.

Ritengo soltanto utile esaminare quali possono essere i meccanismi con cui una malattia oculare od extraoculare possa determinare un aumento della pressione dell'occhio.

Aumentata viscosità dell'acqueo

Un ipertensione endoculare si può verificare in conseguenza di una aumentata viscosità dell'umore acqueo che comporta quindi una sua maggiore resistenza nel passaggio attraverso i pori del trabecolato.

Questo si può realizzare quando nell'acqueo, normalmente costituito da acqua e da sali minerali, compaiono delle sostanze ad alto peso molecolare come le proteine.

 

Un evento del genere si verifica per la presenza di sangue in seguito ad esempio a traumi o a disturbi della coagulazione e in questi casi si parla spesso di glaucoma emorragico.

Ogni oculista sa bene che la presenza di sangue in camera anteriore si accompagna spesso ad ipertono oculare, che va precocemente trattato farmacologicamente o anche chirurgicamente se necessario.

 

L'umore acqueo può essere reso più viscoso per la presenza di essudati, che si formano in conseguenza di infiammazioni dell'uvea anteriore, vale a dire dell'iride o del corpo ciliare, le cosiddette iridocicliti essudative.

In questi casi le proteine di origine infiammatoria intorbidano l'umore acqueo finiscono con l'intasare i pori del trabecolato, con aumento della pressione oculare.

E' curioso notare che queste sono le uniche malattie in cui il sintomo ipertensione oculare non è associato al termine di glaucoma.

In questi casi infatti non si parla di glaucoma flogistico o infiammatorio, bensì di uveite ipertensiva.

 

Altre volte l'umore acqueo può essere reso viscoso per la presenza di proteine del cristallino.

Oggi è difficile imbattersi in cataratte molto avanzate, in genere vengono operate molto prima, ma nelle fasi tardive dell'evoluzione della cataratta si verifica una permeabilizzazione della capsula del cristallino, che lascia entrare l'acqua all'interno della lente e ne fa precipitare le proteine.

Si realizza il quadro della cataratta intumescente, che provoca una drastica riduzione visiva e che è visibile anche ad occhio nudo per la comparsa di una pupilla di colore bianco.

Nelle fasi successive, l'ulteriore permeabilizzazione della capsula permette la fuoriuscita delle proteine del cristallino, che intorbidano l'umore acqueo, intasano il trabecolato e provocano un ipertono oculare.

Si tratta di quello che viene definito glaucoma facolitico, spesso ad andamento acuto e che rappresenta l'unica situazione in cuil'intervento di cataratta riveste caratteristiche di urgenza.

Lesioni del trabecolato

E' abbastanza evidente che se il trabecolato viene danneggiato e i suoi pori vengono in parte chiusi si verifica un aumento della resistenza alla fuoriuscita dell'umore acqueo dall'occhio con conseguente aumento della pressione oculare.

Questo fenomeno si può verificare in conseguenza di traumi contusivi con lacerazione di zone più o meno ampie del trabecolato, per cui si configura il quadro del glaucoma postraumatico.

In questi casi si può avere inizialmente addirittura un abbassamento della pressione legata ad una iniziale maggiore fuoriuscita di umore acqueo attraverso il trabecolato lacerato, ma poi la successiva cicatrizzazione può condurre ad una riduzione della sua capacità filtrante, con conseguente ipertono, che a volte può manifestarsi anche molto tempo dopo il trauma.

Un quadro simile si può realizzare anche in seguito ad un trauma chirurgico.

Aumento della produzione di umore acqueo

Il meccanismo, almeno in teoria è semplice ed intuitivo, una aumentata produzione dell'umore acqueo a livello del corpo ciliare può effettivamente condurre ad un aumento della pressione endoculare per permetterne la fuoriuscita.

Si tratta di quello che viene definito glaucoma ipersecretorio e sulla cui reale esistenza si nutrono molti dubbi.

Ammesso comunque che esista si tratta di una eventualità rara, che si potrebbe realizzare in caso di angiomi del corpo ciliare a volte nell'ambito di angiomatosi, come nel caso della Sturge Weber.

Aumentata pressione delle vene episclerali

L'umore acqueo, fuoriuscito dall'occhio deve raggiungere le vene episclerali e come si è detto in precedenza questo passaggio avviene in virtù di un gradiente di pressione.

E' abbastanza evidente quindi come un suo aumento a carico delle vene episclerali possa determinare un incremento della pressione oculare per permettere la fuoriuscita dell'acqueo dall'occhio.

Di conseguenza tutte le patologie espansive del collo sono in grado di determinare la comparsa di glaucoma con questo meccanismo e rappresentano un esempio di come una malattia extraoculare possa influenzare la pressione dell'occhio.

Questi appena descritti sono i motivi principali per cui una malattia può determinare un aumento della pressione oculare.

Si tratta comunque in genere di eventi non molto frequenti.

I Glaucomi Primitivi

Più importante è invece parlare dei glaucomi primitivi, che insorgono quindi spontaneamente e non in conseguenza di un'altra malattia.

Una delle tante classificazioni che sono state proposte pone una distinzione tra le forme ad angolo aperto e stretto.

Come dicevo le classificazioni non hanno mai soddisfatto del tutto, ma per trattare l'argomento delle controindicazioni farmacologiche conviene fare riferimento proprio a questa distinzione.

Come vedremo si tratta di due malattie completamente differenti, nemmeno imparentate tra di loro, che hanno in comune solo l'aumento della pressione dell'occhio, ma con indicazioni e controindicazioni farmacologiche del tutto diverse.

Glaucoma ad angolo aperto

Il glaucoma ad angolo aperto era definito anche glaucoma primario o glaucoma cronico semplice.

La definizione ci fa capire che si tratta di una forma a decorso cronico, anche se il termine semplice non si adatta proprio benissimo ad una malattia complessa e che presenta ancora molti punti oscuri.

Si tratta comunque della forma più frequente ed è a questa a cui in genere ci si riferisce quando si parla genericamente di glaucoma, senza specificare altro.

Si tratta di una malattia cronica, in cui la familiarità riveste una notevole importanza, a decorso cronico, estremamente subdola, sempre bilaterale, anche se in genere un occhio è colpito più precocemente e in modo più grave dell'altro.

Si tratta di una malattia dell'età avanzata e, anche se non mancano forme giovanili, diventa sempre più frequente con l'avanzare dell'età da cui si comprende come la sua importanza stia diventando sempre maggiore con l'aumento dell'età media.

 

Una volta si diceva che il glaucoma è caratterizzato da una triade sintomatologica:

 

  • Aumento della pressione oculare;
  • Escavazione della papilla ottica;
  • Alterazioni del campo visivo

 

In effetti gli ultimi due sintomi non sono altro che l'espressione anatomica e funzionale dell'atrofia ottica che si determina nel glaucoma.

Oggi questa definizione è un po' caduta in disuso e potremmo dire che il glaucoma è una particolare forma di atrofia del nervo ottico, che presenta caratteristiche particolari, ma andiamo con ordine.

 

Innanzitutto specifichiamo che nel glaucoma cronico la pressione dell'occhio non raggiunge mai valori elevatissimi, decorre praticamente sempre asintomatica e viene rilevata solo in seguito ad una misurazione della pressione oculare eseguita durante una visita oculistica.

In questo caso quindi, contrariamente a quanto molti credono, non bisogna aspettarsi disturbi legati alla pressione oculare, come dolore o senso di pesantezza a livello orbitario, ma soprattutto non bisogna illudersi che l'assenza di sintomatologia escluda la presenza di questo problema.

Il glaucoma ha un andamento decisamente subdolo e da qui l'importanza di sottoporsi periodicamente ad una misurazione della pressione oculare, almeno dopo una certa età.

Non dimentichiamo che la quasi totalità dei glaucomi viene diagnosticata casualmente nel corso di una visita eseguita per altri motivi.

 

L'aumento della pressione oculare rimane, a volte anche per lungo tempo, l'unico sintomo della malattia.

Poi, successivamente si instaura una atrofia del nervo ottico che presenta delle caratteristiche peculiari, completamente diverse dalle altre forme di atrofia, come per esempio quelle di origine circolatoria.

 

Nelle atrofie di origine circolatoria la papilla ottica perde il colorito roseo che la caratterizza ed assume un aspetto biancastro.

Nell’atrofia ottica di tipo glaucoma toso, oltre allo sbiancamento della papilla si osserva anche una escavazione, peraltro presente di dimensioni molto ridotte anche nell'occhio normale, ma che diventa sempre più ampia con il procedere della malattia.

L'aspetto escavato della papilla è tipico del glaucoma e non si riscontra in nessuna altra malattia del nervo ottico.

 

Questo aspetto escavato è dovuto al fatto che l'atrofia delle fibre nervose si accompagna anche a quella delle cellule gliali.

Non si sa il motivo per cui questo avviene, ma contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare, certamente non è dovuto allo sfiancamento del nervo provocato dalla pressione elevata.

 

L'escavazione papillare rappresenta l'aspetto anatomico dell'atrofia glaucomatosa del nervo.

L'aspetto funzionale è invece rappresentato da un progressivo deterioramento del campo visivo.

Anche in questo caso l'aspetto è patognomonico del glaucoma e i danni campimetrici che si riscontrano sono peculiari di questa malattia.

 

Nelle atrofie del nervo ottico di altra origine, come quelle dovute a danni circolatori, si riscontra generalmente una diffusa diminuzione della sensibilità luminosa, che si traduce in un restringimento concentrico del campo visivo.

Nel glaucoma invece alcune aree sono colpite più precocemente di altre. In genere le prime ad essere interessate sono quelle comprese tra i 20 e i 30 gradi di eccentricità. Queste aree poi si estendono e confluiscono tra di loro formando alterazioni caratteristiche che, come si è detto sono peculiari di questa malattia.

 

La malattia è misteriosa.

Prima di tutto non si conoscono i motivi per cui si ha un aumento della pressione oculare, anche se l'attenzione dei ricercatori si è sempre focalizzata su una generica riduzione della permeabilità del trabecolato con un conseguente aumento delle resistenze al passaggio dell'umore acqueo.

 

Ancora più misterioso è il meccanismo con cui l'elevata pressione oculare danneggerebbe il nervo ottico.

La compressione sui vasi sanguigni, con conseguente riduzione della perfusione, non è sufficiente per spiegare il danno glaucomatoso.

E' stato anche ipotizzato un ostacolo al flusso assonico lungo le fibre nervose, ma resta il fatto che al riguardo non si hanno ancora conoscenze precise.

 

A complicare ulteriormente le cose si aggiunge il fatto che non c'è uno stretto parallelismo tra entità dei valori pressori e gravità del danno.

Alcuni occhi mostrano una particolare vulnerabilità, mentre altri sono in grado di tollerare pressioni anche francamente patologiche senza sviluppare lesioni evidenti.

In altre parole la pressione oculare elevata è sicuramente dannosa, ma probabilmente esistono altri fattori necessari perché si sviluppi un danno glaucomatoso.

Insomma, la diagnosi di glaucoma, specialmente nelle fasi iniziali, non è sempre facile.

Il semplice riscontro di una pressione oculare elevata non è da sola sufficiente per formulare una diagnosi di glaucoma.

Per farlo è necessario rilevare la presenza di danni al nervo ottico inequivocabilmente dovuti a glaucoma.

Sta di fatto che questi, quando sono presenti, non possono più regredire.

Si comprende quindi come in molti casi la decisione di intraprendere o meno una terapia ipotonizzante non sia facile, specialmente quando ci si trova di fronte ad un occhio che presenta solamente un ipertono oculare senza corrispondenti lesioni del nervo ottico.

Questi argomenti comunque esulano dallo scopo che ci siamo prefissi, che è quello di illustrare le controindicazioni farmacologiche.

Per farlo però conviene esaminare prima quali sono le terapie mediche che vengono utilizzate nel caso di glaucoma dalle quali poi scaturiscono le varie controindicazioni.

Adesso sarebbe quindi giunto in momento di affrontare il tema della terapia farmacologica, ma prima è opportuno esaminare l'altra forma di glaucoma, quella ad angolo stretto.

Il Glaucoma ad angolo stretto

Quando, in riferimento al glaucoma, si parla di angolo ci si riferisce a quello iridocorneale, che è formato dall'iride e dalla cornea, all'apice del quale si trova il trabecolato corneosclerale, attraverso il quale l'umore acqueo fuoriesce dall'occhio per raggiungere le vene episclerali.

Questo angolo ha generalmente un'ampiezza di 30-35 gradi, ma in alcuni casi, per semplice costituzione anatomica, presenta dimensioni più ridotte, anche meno di 10 gradi.

Come conseguenza si ha anche una diminuzione della profondità della camera anteriore, quella compresa appunto tra iride e cornea.

 

Questa situazione è rilevabile nel corso di una normale visita oculistica, semplicemente osservando l'occhio alla lampada a fessura.

Con un minimo di esperienza ogni oculista è in grado di verificare se la situazione può rientrare o meno nella normalità.

Confronto tra glaucoma ad angolo aperto e stretto

 

Tuttavia la moderna tecnologia oggi ci permette una valutazione più approfondita, grazie all'OCT del segmento anteriore, che ci fornisce un'immagine dettagliata, sulla quale è anche possibile eseguire misurazioni, come appunto l'ampiezza dell'angolo iridocorneale.

 

Nella figura sono rappresentate immagini di un OCT del segmento anteriore. In quella di sinistra è raffigurato un quadro normale, in quella di destra un occhio con angolo stretto.

Si può facilente osservare come in questo caso la profondità della camera anteriore è ridotta, specialmente in periferia, dove l'iride appare quasi a contatto con la faccia posteriore della cornea.

 

Questa situazione, di angolo stretto e di camera anteriore di profondità ridotta, rende sicuramente più angusto l'accesso al trabecolato da parte dell'umore acqueo, tuttavia una simile condizione anatomica di per se non compromette l'idrodinamica oculare ed è compatibile con una pressione oculare perfettamente normale.

 

Sta di fatto però che in questi casi si creano le condizioni per cui l'angolo si possa chiudere completamente.

Questo si verifica quando la parte più periferica dell'iride viene direttamente a contatto con il trabecolato, bloccandone completamente l'accesso ed impedendo in questo modo la fuoriuscita dell'umore acqueo.

 

Come vedremo questa situazione in genere si scatena in seguito ad una dilatazione della pupilla e quando si verifica innesca una serie maledetta di circoli viziosi che portano all'attacco di glaucoma acuto.

 

L'accesso al trabecolato è completamento bloccato.

L'umore acqueo continua ad essere prodotto, ma non potendo uscire dall'occhio provoca un rapido rialzo della pressione che può raggiungere valori elevatissimi, molto superiori a quelli che si riscontrano nel glaucoma cronico.

Naturalmente l'aumento di pressione spinge ancora di più l'iride contro il trabecolato aggravando ulteriormente la situazione.

 

L'elevata pressione comporta una congestione venosa, per cui l'occhio si presenta arrossato, ma anche l'iride si congestiona peggiorando l'ostruzione dell'angolo.

 

L'elevata pressione determina anche l'insorgenza di un edema della cornea e questa, oltre a diventare lattescente aumenta il proprio spessore, anche fino al doppio delle dimensioni normali; questo naturalmente contribuisce a peggiorare l'ostruzione dell'angolo.

 

Non è finita.

L'elevata pressione oculare determina anche una sofferenza dei muscoli dell'iride, dilatatore e sfintere che si paralizzano.

La pupilla non reagisce più, ma di questi due però è proprio lo sfintere a risentirne maggiormente, per cui, per la prevalenza del suo antagonista, la pupilla tende a dilatarsi peggiorando ulteriormente la chiusura dell'angolo.

 

Si verifica anche una sofferenza acuta del nervo ottico, questa volta probabilmente per ostacolo alla perfusione, conseguenza della compressione dei vasi sanguigni.

 

L'attacco acuto di glaucoma è un evento drammatico che può anche portare a conseguenze gravi per la visione.

E' caratterizzato naturalmente da una pressione oculare molto elevata.

Nel glaucoma cronico difficilmente si hanno valori di pressione superiori a 30 mm.Hg. mentre nell'attacco acuto non è raro non riuscire a misurarla perché il tonometro arriva al fondo scala di 80 mm.Hg.

 

La sintomatologia è dominata dal dolore, intenso e di tipo nevralgico, provocato dalla pressione molto elevata.

Ricordiamo che i modesti valori pressori che si riscontrano nella forma cronica non provocano mai dolore.

 

L'occhio è cieco a causa della sofferenza acuta del nervo ottico, probabilmente causata dalla compressione dei vasi sanguigni.

 

La cornea è edematosa lattescente ed opaca a causa dell'edema.

 

L'occhio si presenta anche arrossato a causa della congestione venosa.

 

La pupilla è dilatata, sia perché la midriasi è spesso la causa scatenante, ma anche per la sofferenza dello sfintere della pupilla e la conseguente prevalenza del dilatatore.

 

A questo punto possiamo citare una curiosità.

Gli antichi, osservando un occhio con attacco di glaucoma acuto, avevano rilevato, osservando la pupilla, la comparsa di un riflesso verdastro, che è quello che ha dato il nome al glaucoma.

In effetti oggi non si parla più di questo riflesso verde, per la verità non molto evidente, ma il termine è rimasto e questa malattia si chiama nello stesso modo anche in inglese e olandese, glaukom in tedesco, ungherese e nelle lingue scandinave, glaucome in francese e comunque la stessa radice la si trova in quasi tutte le lingue.

In alcuni paesi anglosassoni poi, il termine popolare per definire il glaucoma è ``Green Water''.

 

L'attacco di glaucoma acuto richiede un trattamento d'urgenza, vedremo più avanti come si cura.

Un'opportuna terapia permette di sbloccare la situazione, ridurre la pressione, far regredire tutta la sintomatologia dolorosa e congestizia ed anche il nervo ottico può riprendere, completamente o in parte la sua funzionalità, naturalmente questo dipende dalla durata dell'attacco.

E' possibile comunque che possano residuare danni visivi permanenti, ma in alcuni casi si può avere anche un completo recupero della visione con completa normalizzazione del quadro clinico, almeno fino all'attacco successivo.

Questo comunque in teoria non si dovrebbe verificare in quanto, dopo la risoluzione della sintomatologia, sarebbe necessario intervenire chirurgicamente per scongiurare il ripetersi del fenomeno, ma questo non fa parte dell'argomento che stiamo trattando.

 

E' opportuno poi precisare che i danni al nervo ottico che si instaurano in seguito ad un attacco di glaucoma acuto sono diversi da quelli che possiamo osservare nella forma cronica.

In questo caso assomigliano di più alle atrofie di origine vascolare a dimostrare che in questo caso il meccanismo con cui il danno si instaura è diverso, probabilmente con una maggiore importanza della componente compressiva sui vasi sanguigni, che invece non può essere invocata nella forma cronica.

 

Raccontando le cose in questo modo il glaucoma ad angolo stretto sarebbe caratterizzato dalla comparsa di attacchi acuti intervallati da periodi di benessere, con pressione oculare normale, in completa assenza di sintomatologia.

In effetti le cose non stanno proprio così e a volte si sente parlare anche di glaucoma cronico ad angolo stretto.

 

Ma come è possibile che un glaucoma ad angolo stretto si presenti in forma cronica?

 

Per capire meglio come funziona il meccanismo è allora opportuno descrivere il decorso del glaucoma ad angolo stretto secondo la classica distinzione in quattro fasi.

Bisogna precisare che clinicamente è molto difficile osservare e distinguere queste quattro fasi, per cui questa descrizione ha una importanza puramente didattica.

Tuttavia pur non presentando un chiaro riscontro nella pratica è molto utile per capire come funzionano le cose.

 

La prima fase corrisponde alla situazione anatomica di angolo stretto e di camera anteriore ridotta di profondità, in cui non si sono ancora manifestati attacchi acuti di glaucoma.

La pressione oculare è perfettamente normale, il paziente è in perfetto benessere e il più delle volte completamente ignaro della sua condizione, senza immaginare di essere a rischio di incorrere in un evento drammatico e potenzialmente molto pericoloso per la sua vista.

 

La seconda fase è detta anche prodromica o degli attacchi subacuti.

Questa la si spiega bene con un esempio.

Immaginiamo un individuo, con angolo stretto ed ignaro della sua situazione, che va al cinema.

Di conseguenza soggiorna per un certo periodo di tempo al buio e la pupilla fisiologicamente si dilata.

L'angolo iridocorneale si chiude e la pressione oculare comincia salire, magari provocando non ancora un dolore vero e proprio, ma un certo senso di pesantezza oculare.

La cornea comincia ad imbibirsi di acqua.

Non si tratta ancora di un edema corneale vero e proprio, ma le goccioline che si raccolgono nel suo spessore provocano fenomeni di diffrazione della luce tanto che, uscito dal cinema, nota la presenza di aloni colorati come l'arcobaleno attorno alle luci dei lampioni.

 

Quello della visione di aloni colorati attorno alle luci è un sintomo conosciutissimo e spesso citato nella descrizione del glaucoma.

In effetti nella realtà le persone che lo riferiscono sono un'esigua minoranza.

Si verifica solo nella fase prodromica del glaucoma ad angolo stretto e non si osserva mai nella forma cronica.

Per di più non è un sintomo caratteristico di ipertensione endoculare, ma di edema corneale per cui si verifica anche in altre situazioni come in certi casi di uso di lenti a contatto.

 

Poi il nostro signore torna a casa, in genere non da troppa importanza ai disturbi, anche perché spesso non sono molto intensi e va a dormire.

Durante il sonno prevale il sistema parasimpatico e la pupilla si stringe.

Molti non lo sanno, ma quando si dorme le pupille si rimpiccioliscono e questo è sufficiente a sbloccare la situazione.

L'iride torna al suo posto, il trabecolato si libera, la pressione rapidamente torna a valori normali e anche i modesti sintomi che si erano presentati scompaiono completamente.

Al mattino al risveglio è probabile che si sia dimenticato dell'accaduto.

 

Questi episodi possono anche ripetersi più volte finché ad un certo punto può capitare che la situazione non si sblocchi.

Questo può accadere perché il film era troppo lungo e quindi la permanenza al buio viene protratta per un tempo maggiore.

Oppure perché a casa, invece di andare a dormire, si attarda davanti al televisore.

Oppure perché, invece di addormentarsi, si impegna in qualche altra attività che gli stimola il sistema simpatico che provoca midriasi.

Altre volte invece la dilatazione della pupilla, anziché essere spontaneamente indotta dalla permanenza al buio, è provocata dall'assunzione di un farmaco, magari in collirio, e quindi molto più intensa e duratura di quella fisiologica.

Si scatena allora un attacco di glaucoma acuto.

 

Siamo giunti quindi alla terza fase, che è appunto caratterizzata dalla comparsa degli attacchi acuti, con tutto il corredo di sintomatologia dolorosa e congestizia che li accompagna.

Come si è detto l'attacco acuto si può sbloccare, spesso in seguito ad una adeguata terapia che, se tempestiva, può portare ad una completa normalizzazione del quadro e con la pressione oculare che ritorna a valori normali.

 

Può però capitare che, dopo un attacco acuto, anche correttamente trattato, la sintomatologia dolorosa e congestizia scompaia completamente, ma la pressione non torni a valori normali.

Non si hanno più naturalmente i valori elevatissimi tipici dell'attacco, altrimenti nemmeno il dolore sparirebbe, ma è possibile che si assestino su valori modicamente elevati, gli stessi che si riscontrano nel glaucoma cronico.

Siamo giunti alla quarta fase detta anche del glaucoma cronico ad angolo stretto.

 

Per capire cosa è successo basta pensare che i ripetuti fenomeni di chiusura e riapertura dell'angolo iridocorneale, che si sono susseguiti nel tempo, hanno portato alla formazione delle cosiddette ``goniosinechie'', vale a dire di aderenze tra l'iride e la cornea, che portano alla chiusura permanente di porzioni più o meno ampie del trabecolato.

Questo naturalmente non avviene su tutta la circonferenza, ma è sufficiente a renderne inutilizzabili porzioni più o meno ampie in modo da ridurne la capacità filtrante.

Questo comporta un aumento cronico della pressione oculare, anche con valori di pressione più bassi, gli stessi che si riscontrano appunto nel glaucoma cronico.

Naturalmente in questa situazione possono di nuovo verificarsi attacchi di glaucoma acuto.

 

Come dicevo questa descrizione del decorso ha solo lo scopo di permettere la comprensione dei meccanismi che caratterizzano questa malattia.

In effetti difficilmente si possono distinguere queste quattro fasi e non è raro trovare un paziente che presenta goniosinchie con un quadro di glaucoma cronico ad angolo stretto senza che si siano mai verificati evidenti episodi di attacco acuto.

 

Finora è stato descritto il glaucoma acuto da chiusura dell'angolo, che rappresenta il caso tipico in cui questa malattia decorre acutamente con tutto il corredo sintomatologico di arrossamento e dolore che lo caratterizza, ma non bisogna pensare che la chiusura dell'angolo sia la sola causa di glaucoma acuto.

 

Anche alcune forme di glaucoma secondario possono decorrere in forma acuta, in pratica in tutti quei casi in cui la pressione raggiunge valori molto elevati ed in grado di provocare tutti i sintomi dolorosi e congestizi.

Il glaucoma facolitico ad esempio decorre tipicamente in forma acuta, ma pressioni molto elevate si possono riscontrare anche per la presenza di sangue od essudati nell'umore acqueo.

La terapia medica del Glaucoma

A questo punto, prima di parlare delle controindicazioni farmacologiche, è opportuno esaminare quelli che sono i farmaci che vengono utilizzati nella terapia del glaucoma, perché è dall'esame del loro meccanismo di azione che queste scaturiscono.

Innanzitutto occorre precisare che la terapia del glaucoma, sia medica che chirurgica, è unicamente indirizzata all'abbassamento della pressione oculare.

Non siamo in grado di riparare i danni del nervo ottico quando questi si sono già instaurati, ma è solo possibile evitare che progrediscano.

 

Recentemente si sta valutando l'efficacia dei Neuroprotettori, cioè farmaci in grado di rendere il nervo ottico meno vulnerabile agli insulti della pressione oculare.

Si è detto come probabilmente quest'ultima non sia l'unica causa in grado di spiegare i danni che si instaurano, tuttavia questi farmaci non ci interessano per illustrare il problema delle controindicazioni farmacologiche e di conseguenza ci occuperemo solo di quelli utilizzati per ridurre la pressione oculare.

 

La terapia farmacologica del glaucoma si fonda su due principi fondamentali.

Da un lato è possibile ridurre la pressione oculare riducendo la produzione di umore acqueo, sull'altro versante possiamo favorirne la fuoriuscita.

 

Premetto subito che la maggior parte dei farmaci che oggi vengono utilizzati non hanno una reale contropartita riguardo alle controindicazioni, tuttavia non si può parlare della terapia del glaucoma senza esaminarli brevemente ed analizzare il loro meccanismo d'azione.

Quasi sempre si tratta di medicamenti locali, vale a dire in collirio, ma esistono anche farmaci assunti per via generale.

I Beta Bloccanti

Parlando di terapia del glaucoma è indispensabile esaminare questo gruppo di farmaci, che rappresenta uno dei cardini fondamentali su cui essa si basa, anche se una loro trattazione per la verità non ci dice molto riguardo al problema delle controindicazioni.

Per di più l'intimo meccanismo d'azione dei beta bloccanti non è completamente chiarito anche se si sa che agiscono fondamentalmente inibendo la produzione di umore acqueo.

 

E' vero che la somministrazione in collirio non porta ad un assorbimento generale considerevole, ma possono essere controindicati nei casi di asma o di blocco atrioventricolare.

 

Per lungo tempo hanno rappresentato uno dei cardini fondamentali della terapia, solo negli ultimi anni sono stati affiancati dalle prostaglandine, di cui parleremo tra poco, ma la loro efficacia è indubbia e sono ancora largamente utilizzati.

Le Prostaglandine

Si tratta di un gruppo di farmaci entrati in terapia più recentemente.

Il loro meccanismo d'azione si basa sul fatto che favoriscono il cosiddetto deflusso uveosclerale.

 

Quando si è parlato dell'idrodinamica oculare si è detto che l'umore acqueo fuoriesce dall'occhio attraverso il trabecolato per poi raggiungere il canale di Schlemm e poi le vene episclerali.

In realtà non è del tutto vero, perché una certa quantità viene riassorbita dall'uvea.

Si tratta di una quota di minoranza che normalmente non ha una grossa importanza, ma che le prostaglandine sono in grado di incrementare in maniera considerevole.

In altre parole questi farmaci sono in grado di spalancare una porta che normalmente resterebbe socchiusa.

Rispetto ai beta bloccanti, che devono essere somministrati due volte al giorno, richiedono una sola somministrazione giornaliera e inoltre non hanno gli stessi effetti collaterali sistemici.

Non sono comunque esenti da effetti collaterali locali, sono infatti in grado di provocare una certa pigmentazione della cute della regione palpebrale, possono decolorare l'iride ed inducono un caratteristico allungamento delle cilia.

Inoltre possono provocare un edema maculare cistoide, vale a dire una infiammazione della zona centrale della retina negli occhi sottoposti ad intervento di cataratta, per cui spesso devono essere sospesi in occasione di un intervento di questo genere.

Anche in questo caso però il loro meccanismo d'azione non ha ripercussioni per quanto riguarda le controindicazioni farmcologiche ed una loro descrizione è necessaria solo per dovere di completezza parlando di terapia del glaucoma.

Come si è visto il loro meccanismo d'azione è diverso rispetto ai beta bloccanti; questi agiscono inibendo la produzione di umore acqueo, mentre le prostaglandine ne favoriscono l'eliminazione.

E' evidente quindi che i due farmaci possono efficacemente essere associati, tanto che in commercio esistono numerose preparazioni in cui sono presenti entrambi i due principi attivi e che rappresentano l'associazione più efficace che abbiamo oggi a disposizione, almeno per quanto riguarda la terapia locale.

Gli inibitori dell'anidrasi carbonica

Per ottenere una riduzione della pressione oculare si può fare uso di questi farmaci, assunti in compresse, quindi per via generale.

Sono molto efficaci, ma per lo più utilizzati in condizioni di emergenza.

Quello più usato è l'Acetazolamide, si tratta di un diuretico depletore di potassio e spesso la sua efficacia come ipotonizzante oculare è associata all'effetto diuretico.

In effetti niente di tutto questo.

 

L'anidrasi carbonica è un enzima che si trova nel tubulo renale e serve per il riassorbimento dell'ultrafiltrato glomerulare.

La sua inibizione determina infatti una riduzione di questo riassorbimento con conseguente aumento della diuresi e concomitante perdita di potassio.

Tutto questo è comunque da considerare alla stregua di un effetto collaterale e non ha un sostanziale effetto sulla pressione oculare.

L'anidrasi carbonica è però presente anche a livello del corpo ciliare e serve per la produzione di umore acqueo.

Una sua inibizione determina quindi una riduzione della sua secrezione ed è appunto attraverso questo meccanismo che porta alla riduzione della pressione oculare.

La sua azione è quindi locale ed è per questo che si è pensato di somministrarlo in collirio, proprio per evitare gli effetti collaterali sistemici.

 

Il problema è che l'Acetazolamide, somministrata localmente non penetra all'interno dell'occhio, per cui sono stati messi in commercio diversi colliri che contengono differenti inibitori dell'anidrasi carbonica come la Dorzolamide e la Brinzolamide.

Sono largamente utilizzati, anche se il loro effetto ipotonizzante è decisamente inferiore rispetto alla somministrazione per via generale.

Quest'ultima, sicuramente efficace, si presta però poco per un utilizzo continuativo tanto che viene utilizzata per lo più in condizioni di emergenza, come durante un attacco acuto o in preparazione all'intervento chirurgico.

Anche in questo caso, come nei precedenti non ci sono ripercussioni nelle controindicazioni farmacologiche.

Il Mannitolo

La somministrazione di mannitolo per infusione venosa rappresenta l'arma più efficace che gli oculisti hanno a disposizione per abbassare la pressione oculare.

L'effetto è legato all'azione osmotica con una importante riduzione della produzione dell'umore acqueo. Anche in questo caso il suo utilizzo è limitato alle situazioni di emergenza e non si presta per un uso continuativo.

 

Tutti gli esempi che sono stati illustrati finora sono stati ricordati per ragioni di completezza, in una descrizione della terapia del glaucoma non si poteva infatti trascurare la descrizione dei farmaci più utilizzati, ma come si è visto, nessuno di questi

presenta contropartite riguardo alle controindicazioni farmacologiche.

Per avere un riscontro occorre invece esaminare l'effetto della Pilocarpina e in generale dei farmaci parasimpaticomimetici.

La Pilocarpina

La Pilocarpina è un farmaco vecchio e glorioso, è entrato in commercio più di cento anni fa e per molto tempo è rimasto praticamente l'unico mezzo che gli oculisti avevano a disposizione nella terapia del glaucoma.

L'introduzione dei beta bloccanti, che hanno un po' rivoluzionato la terapia, è arrivata solo negli anni ottanta.

 

E' sicuramente efficace e se oggi il suo utilizzo è ridotto, lo si deve solo al fatto che si hanno a disposizione farmaci altrettanto validi dal punto di vista terapeutico, ma più comodi da utilizzare e con meno effetti collaterali.

La Pilocarpina infatti, per coprire tutto l'arco della giornata, richiederebbe una somministrazione ogni 6 ore ed inoltre provoca intensa miosi e spasmo dell'accomodazione, che finiscono col disturbare non poco la visione.

 

La Pilocarpina appartiene ai parasimpaticomimetici, vale a dire che stimola l'azione del parasimpatico.

Andiamo allora ad esaminare cosa succede a livello oculare.

L'effetto più evidente è a carico della pupilla.

 

L'iride contiene due muscoli, lo sfintere, formato da fibre concentriche, la cui contrazione determina restringimento della pupilla, innervato dal parasimpatico ed il dilatatore, formato da fibrille dirette in senso radiale, che provoca midriasi ed è innervato dal simpatico.

 

Le dimensioni della pupilla sono determinate dall'equilibrio tra questi due muscoli antagonisti.

 

La somministrazione della Pilocarpina provoca quindi miosi spastica, per contrazione dello sfintere, tanto che viene anche definito un farmaco miotico e spesso si diceva che il glaucoma viene curato coi miotici, affermazione, come vedremo non del tutto esatta, per lo meno non sempre.

In effetti la miosi che si verifica dopo la somministrazione di Pilocarpina nel caso di glaucoma ad angolo aperto è da considerare alla stregua di un effetto collaterale indesiderato che non ha influenza sulla pressione endoculare.

 

Tuttavia questa pressione si abbassa.

Andiamo allora a vedere quali sono le altre azioni del parasimpatico a livello oculare.

 

La sua stimolazione provoca anche una contrazione del muscolo ciliare.

Niente a che vedere col corpo ciliare e con la produzione di umore acqueo.

Il muscolo ciliare è un anello muscolare che si trova al di sotto del corpo ciliare.

Anch'esso è uno sfintere e la sua contrazione provoca uno spostamento del corpo ciliare verso la linea mediana.

 

Al corpo ciliare sono però attaccate le fibre della zonula dello Zinn, una serie di fibrille tese fino all'equatore del cristallino e che ne rappresentano l'apparato sospensore.

Queste fibrille, in condizioni di riposo, mantengono il cristallino in tensione e quando il muscolo ciliare si contrae lo spostamento del corpo ciliare verso la linea mediana comporta un loro rilasciamento.

Il cristallino, non più in tensione ed in virtù di una sua propria elasticità, si contrae, diventa più globoso facendo aumentare la curvatura delle sue facce.

Essendo una lente questo ne comporta un potenziamento e grazie a questo meccanismo è possibile focalizzare gli oggetti a distanza ravvicinata.

Si tratta del meccanismo dell'accomodazione, attraverso il quale l'occhio è in grado di mettere a fuoco da vicino come avviene durante la lettura.

 

La somministrazione di Pilocarpina comporta una contrazione del muscolo ciliare e quindi uno spasmo accomodativo, con messa a fuoco per vicino, ma inevitabile sfocatura degli oggetti lontani.

Questa manifestazione non è sempre molto evidente, i pazienti in terapia con Pilocarpina sono generalmente anziani ed affetti da presbiopia, quindi con un cristallino non più elastico per cui questo fenomeno è spesso modesto, ma i pazienti giovani riferiscono regolarmente un annebbiamento visivo nella visione da lontano dopo la somministrazione del farmaco.

Anche questo tuttavia è da considerare alla stregua di un effetto collaterale indesiderato.

 

Ma allora come fa la Pilocarpina a determinare un abbassamento della pressione oculare?

Questo effetto è sempre legato alla contrazione del muscolo ciliare che, da un lato, è unito al corpo ciliare, alle fibre zonulari ed al cristallino, ma dall'altra parte è unito al trabecolato.

Con la contrazione di questo muscolo il trabecolato si distende, allarga il lume dei canali di cui è costituito e il tutto si traduce in una riduzione delle resistenze alla fuoriuscita dell'umore acqueo.

In termine tecnico si dice che aumenta la capacità di deflusso dell'umore acqueo attraverso le maglie del trabecolato e tutto questo porta naturalmente ad una riduzione della pressione oculare.

 

La Pilocarpina quindi agisce favorendo la fuoriuscita dell'umore acqueo dall'occhio.

La terapia del Glaucoma acuto

Nella descrizione dei farmaci illustrati finora ci si è sempre riferiti implicitamente alla terapia del glaucoma cronico, ma come ci si comporta di fronte ad un attacco acuto di glaucoma?

 

In questo caso le pressioni sono molto elevate ed è indispensabile ridurle con la massima tempestività.

Naturalmente si farà ricorso a tutti i mezzi a disposizione, in genere si utilizza l'infusione di Mannitolo, associato alla somministrazione di Acetazolamide per via generale e spesso si instillano anche beta bloccanti localmente.

Tutto questo però serve a ridurre la pressione, ma non permette di sbloccare la situazione.

Se non si libera il trabecolato dalla periferia dell'iride che lo ostruisce, una volta passato l'effetto dei farmaci la pressione tornerebbe a salire.

E' indispensabile ottenere un restringimento della pupilla, questa infatti permette di allontanare la periferia dell'iride dal trabecolato rendendolo di nuovo accessibile.

Per ottenere questo effetto che farmaco si può utilizzare?

 

Naturalmente la Pilocarpina che, come si è visto, è in grado di provocare un restringimento della pupilla grazie alla stimolazione dello sfintere dell'iride.

In questo caso però l'effetto farmacologico è dato proprio da quella miosi che nella terapia del glaucoma cronico viene considerata un effetto collaterale indesiderato.

In questo caso la contrazione del muscolo ciliare con il conseguente allargamento delle maglie del trabecolato, sfruttato come si è detto nella forma cronica, è sicuramente gradito, ma non è l'effetto principale che vogliamo ottenere.

Qui siamo di fronte ad un trabecolato che in teoria funziona benissimo, solo che è reso inaccessibile dalla chiusura dell'angolo.

 

Per sbloccare la situazione dobbiamo allontanare la periferia dell'iride dalla cornea e per farlo è necessario restringere la pupilla.

Non è facile, perché come si è detto l'elevata pressione oculare provoca una paralisi dei muscoli dell'iride e in particolare proprio dello sfintere.

Per questo motivo bisogna prima di tutto cercare di abbassare il più possibile la pressione oculare con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, ma nella terapia d'urgenza di un paziente sotto attacco di glaucoma acuto ci si preoccupa soprattutto di osservare le dimensioni della pupilla e solo quando questa comincia a restringersi si può considerare risolta la situazione.

 

E' interessante notare quindi come la Pilocarpina venga utilizzata sia nella terapia del glaucoma ad angolo aperto, sia in quello ad angolo stretto, ma sfruttando due meccanismi sostanzialmente differenti.

Quello che nel primo caso è un effetto collaterale indesiderato diventa il meccanismo d'azione principale nel secondo.

 

Naturalmente la Pilocarpina può essere utilizzata anche per prevenire nuovi attacchi allo scopo di impedire appunto quella dilatazione della pupilla che è spesso il fattore scatenante.

Tuttavia un occhio che ha sofferto di attacchi di glaucoma acuto o che solo ha la predisposizione a scatenarli oggi viene sottoposto ad un intervento di iridectomia, eseguibile facilmente per mezzo dello Yag Laser.

Le controindicazioni farmacologiche

Si è voluto descrivere il meccanismo d'azione dei farmaci che vengono utilizzati in caso di glaucoma ed in particolare della Pilocarpina, perché adesso diventa facile esaminare le controindicazioni che riguardano sostanzialmente i farmaci che hanno un'azione antagonista rispetto a quelli utilizzati in terapia.

 

Come si è detto i Beta Bloccanti o le Prostaglandine sono oggi i più utilizzati, ma come si è detto il loro meccanismo d'azione è stato illustrato solo per completezza, perché non hanno ripercussioni nel discorso delle controindicazioni.

Queste riguardano soprattutto gli antagonisti della Pilicarpina, cioè i farmaci Parasimpaticolitici.

I Parasimpaticolitici

La controindicazione principale in caso di glaucoma riguarda soprattutto i farmaci antagonisti della Pilocarpina, vale a dire i parasimpaticolitici o anticolinergici, in grado cioè di inibire l'azione del parasimpatico a livello oculare.

Tutti quanti determinano midriasi paralitica, per paralisi dello sfintere e prevalenza del dilatatore.

 

Si verifica anche una paralisi del muscolo ciliare con conseguente rilassamento del trabecolato, restringimento delle sue maglie e conseguente aumento delle resistenze alla fuoriuscita dell'umore acqueo, che comporta un certo rialzo della pressione oculare anche in un occhio normale.

 

Questi farmaci sono ampiamente utilizzati in oculistica come colliri per dilatare la pupilla allo scopo ad esempio di esaminare il fondo oculare, ma si tratta di un uso prettamente specialistico e si prevede che in questi casi l'oculista sappia come comportarsi.

 

Sostanze ad azione anticolinergica sono però presenti anche il molte altre preparazioni come negli antidepressivi, in alcune preparazioni contro l'asma, nei farmaci antiparkinson, nei prodotti utilizzati per l'incontinenza urinaria, nei farmaci antispastici e in alcuni antiepilettici.

Non dimentichiamo poi i cerotti alla Scoploamina, utilizzati per combattere il mal di mare o il mal d'auto, che spesso possono provocare evidenti dilatazioni della pupilla.

Ricordiamo inoltre che è prassi comune somministrare Atropina in preanestesia.

In tutti i casi è segnalata nel foglietto illustrativo la controindicazione in caso di glaucoma.

 

Si comprende però che il significato è profondamente diverso a seconda che ci si trovi di fronte ad un glaucoma ad angolo aperto o ad angolo stretto.

 

Nell'ultimo caso la controindicazione deve essere considerata con molta attenzione, una sola somministrazione del farmaco potrebbe provocare una dilatazione della pupilla e scatenare un attacco di glaucoma acuto, evento drammatico che può portare anche a gravi danni permanenti della visione.

Il problema è generalmente legato al fatto che spesso il paziente con angolo iridocorneale ristretto, se non è stato precedentemente vittima di attacchi acuti, è ignaro di questa situazione e naturalmente non la riferisce.

Da notare inoltre che in queste situazioni la pressione oculare è normale, ma la dilatazione della pupilla può scatenare un rialzo pressorio importante.

Non è quindi sufficiente accertarsi della normalità del tono oculare, ma occorrerebbe valutare la profondità della camera anteriore ed accertarsi della possibilità di una chiusura dell'angolo iridocorneale.

E' buona regola che gli oculisti, quando nel corso di una visita riscontrano una situazione anatomica che predispone agli attacchi di glaucoma acuto, lo segnalino al paziente ed al medico curante in modo da rispettare le controindicazioni farmacologiche anche se il paziente ha una pressione oculare normale.

 

Nel caso invece di glaucoma cronico la situazione è molto più tranquilla.

In questo caso la dilatazione della pupilla non è pericolosa e non ci sono rischi di provocare attacchi di glaucoma acuto.

E' vero che i farmaci ad azione anticolinergica provocano anche un rilassamento del muscolo ciliare, con aumentata resistenza trasecolare e possono quindi determinare un certo rialzo della pressione oculare.

Una singola somministrazione però, come l'Atropina in preanestesia, non è assolutamente controindicata.

Non è certamente il modesto rialzo pressorio della durata di qualche ora che può compromettere la situazione.

Il discorso può essere diverso quando questi farmaci devono essere assunti per lunghi periodi di tempo come nel caso di trattamenti con farmaci antidepressivi.

In questo caso però una collaborazione tra il medico prescrittore e l'oculista permette di risolvere la situazione nella maggior parte dei casi.

In genere la terapia può essere iniziata a patto di controllare dopo breve tempo la pressione oculare.

Devo dire che generalmente non si verificano problemi, ma se questa dovesse salire ed il glaucoma scompensarsi, sarà compito dell'oculista usare i mezzi che ha a disposizione per riportarla entro valori normali.

Insomma in questi casi direi che non si tratta di una controindicazione assoluta, ma solo di una situazione che richiede una maggiore attenzione e che con un minimo di collaborazione può essere superata.

I Simpaticomimetici

Si è visto come il rischio maggiore sia rappresentato dalla dilatazione della pupilla nei casi di pazienti con angolo iridocorneale ristretto e quindi in grado di sviluppare un attacco di glaucoma acuto.

La pupilla però non si dilata solo per paralisi dello sfintere, ma anche per contrazione del dilatatore e quindi per azione dei farmaci simpaticomimetici.

La Fenilefrina ad esempio è contenuta in colliri per dilatare la pupilla, in genere in associazione con un parasimpaticolitico per aumentarne l'efficacia.

Associazioni di questo genere vengono quotidianamente utilizzate in ogni ambulatorio oculistico in genere per un esame del fondo oculare.

Sono naturalmente controindicati in caso di angolo stretto, ma anche in questo caso si tratta di farmaci di stretta competenza oculistica e quindi ci si aspetta che lo specialista sia in grado di comportarsi correttamente.

 

Nelle altre situazioni i Simpaticomimetici hanno un utilizzo limitato ed in genere non sono fonte di problemi.

Le modeste concentrazioni di Adrenalina contenute negli anestetici locali, allo scopo di ottenere una vasocostrizione, non sono in grado di determinare una evidente dilatazione della pupilla e del resto si comprende che un medico che si accinge a praticare una iniezione intracardiaca di adrenalina non si stia a preoccupare se il paziente ha un angolo iridocorneale aperto o stretto.

 

Nel glaucoma ad angolo aperto invece questi farmaci non presentano nessuna controindicazione.

 

Il muscolo ciliare, innervato dal parasimpatico, non ha un antagonista come avviene per lo sfintere della pupilla, la cui azione è contrapposta a quella del dilatatore sensibile invece al simpatico.

Questi farmaci non hanno quindi nessuna azione sul trabecolato e non determinano una riduzione della sua capacità filtrante.

 

Al contrario a questo proposito avviene un fatto paradossale, la somministrazione in collirio di un Simpaticomimetico, naturalmente in un occhio con angolo aperto, provoca un abbassamento della pressione oculare per riduzione della produzione di umore acqueo.

 

Questo meccanismo è stato addirittura sfruttato nella terapia del glaucoma.

Anni fa era in commercio un collirio a base di Epinerfrina utilizzato nel trattamento del glaucoma ad angolo aperto.

Provocava un abbassamento della pressione oculare per riduzione della produzione di umore acqueo, ma come effetto collaterale determinava una evidente midriasi

per cui era controindicato nell'angolo stretto.

Si tratta quindi di un farmaco utilizzato nella terapia di una forma di glaucoma e addirittura controindicato nell'altra a riprova delle profonde differenze che ci sono tra le due malattie.

 

Se in genere i simpaticomimetici non rappresentano un particolare problema c'è però da segnalare che spesso una modesta quantità di questi farmaci è contenuta nei colliri decongestionanti a scopo vasocostrittore.

In genere le modeste concentrazioni non sono in grado di determinare midriasi evidenti che però a volte possono essere osservate in casi di particolare sensibilità.

Da notare che questa eventualità e segnalata nel foglietto illustrativo di questi farmaci venduti liberamente e senza prescrizione medica.

Non si tratta quindi di prodotti del tutto innocui e sarebbe auspicabile che il loro utilizzo venisse ridimensionato considerando che sono tra i farmaci più venduti in assoluto.

Il Cortisone

Si dice in genere che il Cortisone è controindicato in caso di glaucoma, ma forse questa affermazione non è del tutto esatta.

In realtà il cortisone è in grado di provocare un vero e proprio glaucoma iatrogeno in quanto stimola la proliferazione di mucopolisaccardi acidi a livello del trabecolato, che finiscono con l'intasarne i pori riducendone la capacità filtrante.

 

Non si tratta quindi di una controindicazione vera e propria, ma nella possibilità di sviluppare un vero e proprio glaucoma da farmaci.

Per comprendere come comportarsi nell'utilizzo del Cortisone è però opportuno fare qualche considerazione.

 

  • Il glaucoma da Cortisone non colpisce tutti gli individui, ma solo quelli sensibili che rappresentano circa un terzo della popolazione. Gli autori anglosassoni li definiscono ``Responder''. Il problema è che a priori non c'è modo di sapere se un individuo appartiene o meno a questa categoria.
  • Il glaucoma da cortisone si manifesta più facilmente per somministrazione locale, vale a dire con colliri o pomate oftalmiche, ma anche la somministrazione per via generale lo può provocare e non deve essere trascurata.
  • Perché il glaucoma da Cortisone si manifesti è necessario un periodo di somministrazione sufficientemente lungo, da qualche settimana a qualche mese. Una singola somministrazione non rappresenta quindi un problema.
  • l glaucoma da Cortisone fino ad un certo punto è reversibile, vale a dire che la sospensione del farmaco porta ad una normalizzazione spontanea della pressione oculare. Dopo un certo tempo però diventa irreversibile e spesso anche difficile da trattare in quanto risponde poco alle terapie.

 

Da questo si deduce che una singola somministrazione di cortisone, come una infiltrazione articolare, non rappresenta mai una controindicazione, anche in pazienti affetti da un grave glaucoma.

 

Se invece la malattia richiede una somministrazione per tempi lunghi possono insorgere problemi ed è necessario che il paziente si sottoponga a periodici controlli oculistici per valutare la situazione.

 

Questo tuttavia deve essere fatto in tutti i pazienti e non solo in quelli glaucomatosi.

Chiunque infatti può incorrere in un glaucoma da cortisone.

 

Non è quindi corretto considerare controindicato il Cortisone in pazienti affetti da glaucoma e poi somministrarlo liberamente agli altri senza mai consigliare un controllo oculistico.

E' chiaro che nei gaucomatosi occorrerà una attenzione ancora maggiore, sia perché non è opportuno sovrapporre un glaucoma iatrogeno ad uno preesistente, ma anche perché gli individui glaucomatosi sono più spesso ``Responder'' rispetto agli altri.

Questo però non vuol dire che possa essere somministrato senza pensare ad una possibile insorgenza di un glaucoma da farmaco anche in pazienti non affetti da questa malattia.

 

In genere però quando un paziente è costretto a seguire una terapia cortisonica per lungo tempo lo fa perché è affetto da una malattia grave che impone l'uso di questi farmaci e l'insorgenza di un glaucoma finisce col passare in secondo piano.

Sarà compito dell'oculista affrontare il problema cercando di evitare o di contenere i danni.

A questo punto è bene che l'oculista utilizzi i mezzi che ha a disposizione per curare queste malattie, senza lasciar trasparire un disappunto nei confronti della terapia cortisonica di fronte ad un paziente spesso più preoccupato degli effetti collaterali dei farmaci che assume che della malattia di cui è affetto.

 

Se però è vero che molte volte il glaucoma da Cortisone è inevitabile è altrettanto vero che nella maggior parte dei casi questo è provocato dall'instillazione prolungata di colliri contenenti corticosteroidi da parte di pazienti, spesso ignari di quanto si stanno mettendo negli occhi.

Nella mentalità popolare i colliri sono considerati farmaci di scarsa importanza e spesso vengono instillati superficialmente anche senza conoscere bene cosa contengono, nella convinzione che si tratti sempre di decongestionanti o banali lubrificanti, senza sapere che possono contenere tutti i principi attivi contenuti nelle altre formulazioni.

Si tratta di un atteggiamento abbastanza strano se si considera che gli occhi sono da tutti considerati organi delicati, ma è un comportamento diffuso, per cui sarebbe bene che venissero prescritti con maggiore attenzione, sempre specificando bene cosa contengono e che non possono essere utilizzati per ogni forma di arrossamento oculare.