I difetti visivi

Normalmente quando si parla di vizi di refrazione ci si sente dire che il miope vede male da lontano ed il presbite vede male da vicino.

Affermazione sicuramente corretta, ma decisamente fuorviante, che lascerebbe intendere che la presbiopia sia il contrario della miopia.
Questa opinione è molto diffusa, ma non corrisponde affatto alla realtà.
Il contrario della miopia è infatti l'ipermetropia, mentre la presbiopia colpisce tutte le persone dopo una certa età, miopi compresi.

Probabilmente adesso abbiamo aggiunto ancora un po' di confusione e maggiormente disorientato le persone che stanno cercando di capire qualcosa.
A questo punto, per chiarire le cose, è necessario illustrare come funziona l'occhio dal punto di vista ottico.

L'occhio normale

Occhio normale | Dr Roberto Carnevali Oculista

L'occhio è uno strumento ottico ed è quindi formato da un diaframma, un obiettivo, formato da due lenti: la cornea ed il cristallino e da uno schermo sensibile, la retina.

Il diaframma è rappresentato dalla pupilla.

La retina riveste la faccia interna del bulbo oculare e quindi ha la forma di una semisfera, contrariamente a quanto accade nelle macchine fotografiche dove invece la pellicola sensibile è piana.
Questo permette di ottenere un maggiore angolo visuale, potremmo paragonarlo ad un effetto grandangolo, cosa che nelle macchine fotografiche è invece ottenuta con un obiettivo particolare.

L'obiettivo dell'occhio è formato da due lenti, la cornea ed il cristallino.
La prima ha un potere fisso, mentre il cristallino è in grado di modificare la propria forma aumentando il proprio potere, cosa, come vedremo tra poco, viene sfruttata nella visione a distanza ravvicinata.

 

Vediamo allora di spiegare meglio cosa succede.

Accomodazione | Dr Roberto Carnevali Oculista

Quando un occhio sta osservando un oggetto lontano i raggi luminosi che lo raggiungono possono essere considerati paralleli.
Attraversando l'obiettivo oculare, prima la cornea e poi il cristallino, questi raggi luminosi vengono trasformati in un fascio convergente che si focalizza esattamente sulla retina.

Possiamo quindi affermare che, in condizioni di riposo, un occhio normale è costruito in modo tale per cui i raggi luminosi che arrivano paralleli, perché provenienti da oggetti lontani, vengono deviati dall'obiettivo e vanno a fuoco esattamente sulla retina.
In parole povere un occhio in condizioni di riposo vede nitidi gli oggetti lontani.

Questa situazione è illustrata dall'immagine di sinistra della figura.

Cosa succede però quando si osservano oggetti situati ad una distanza ravvicinata?
I raggi luminosi arrivano all'occhio non più paralleli, ma divergenti.
In questo modo andrebbero a fuoco in un punto dietro la retina come mostrato dalle linee rosse dell'immagine di destra della figura.

A questo punto bisogna fare qualcosa per modificare la focalizzazione e riportare il fuoco dei raggi luminosi sulla retina.
Nelle macchine fotografiche la cosa si ottiene spostando in avanti le lenti dell'obiettivo.
Nell'occhio questo non è possibile, ma a questo punto entra in azione il cristallino che, come si è detto, è in grado di modificare la propria forma, trasformandosi in una lente di maggiore potere, riportando il fuoco dei raggi luminosi sulla retina.

In pratica questo porta ad un aumento del potere dell'obiettivo che permette di focalizzare ad una distanza più ravvicinata.

Si tratta del meccanismo dell'accomodazione, che tutti noi utilizziamo durante la lettura o comunque svolgendo qualunque attività che richiede di vedere nitidi oggetti posti a distanza ravvicinata.

La capacità di "accomodazione'' è massima alla nascita.
Spesso capita di vedere i bambini che leggono appiccicati al foglio, cosa che a volte allarma qualche genitore.
Si tratta sicuramente di una postura non corretta, ma un bambino di sei anni non ha difficoltà a mettere a fuoco ad una distanza di dieci centimetri.
Col passare del tempo però il cristallino perde progressivamente la sua elasticità e un ragazzino di 15 anni probabilmente si pone già istintivamente ad una distanza superiore.
Non dico che sia invecchiato, ma ha comunque dieci anni di più di quando ne aveva cinque ed ha già perduto una parte della sua capacità accomodativa.

Naturalmente nessuno si lamenta di non riuscire a leggere a dieci centimetri di distanza e i primi problemi, in un individuo normale, si manifestano attorno ai 47 anni di età, quando l'occhio comincia ad avere difficoltà a focalizzare alla distanza di lettura.
Prima si comincia ad allungare le braccia, poi tutti prima o poi si rassegnano ad utilizzare occhiali per vicino.
Questi non sono come molti pensano lenti di ingrandimento.
E' vero che un certo ingrandimento dell'immagine la generano, ma si tratta di un effetto collaterale.
La realtà è che queste lenti creano un potenziamento dell'obiettivo oculare, cosa che nel giovane è svolta dall'elasticità del cristallino, ma che è andata perduta.
Possiamo dire che con indosso queste lenti l'individuo si ritrova funzionalmente miope.
Sarà quindi in grado di vedere oggetti vicini con uno sforzo accomodativo inferiore, ma vedrà sfuocati gli oggetti distanti.
E' risaputo infatti che chi porta occhiali da vicino li deve togliere quando volge lo sguardo lontano.

Quella che è stata descritta adesso è la presbiopia.

Non si tratta di un vero e proprio vizio di refrazione, ma solo del normale fenomeno di invecchiamento, che colpisce l'occhio con l'età ed è dovuta alla progressiva perdita dell'elasticità del cristallino.
Colpisce tutti gli individui e le persone anziane che si vantano di leggere senza occhiali in realtà sono miopi, cioè non vedono bene da lontano.
Magari non se ne sono mai rese conto, ma non c'è un'altra spiegazione.
Tra poco illustreremo meglio questo meccanismo.

Quindi è inevitabile che, dopo una certa età, un individuo normale continui a vedere bene da lontano, dove non c'è bisogno di mettere a fuoco le immagini, mentre dovrà ricorrere ad occhiali per vedere a distanza ravvicinata.
Prima gli occhiali saranno più leggeri perché dovranno compensare solo in parte la perdita della capacità di accomodazione in un occhio che ancora mantiene una certa elasticità, ma poi dovranno diventare progressivamente più potenti mano a mano che questa capacità va via via scemando.
Attorno ai 60 anni si considera che la capacità accomodativa sia completamente perduta e a questo punto gli occhiali dovranno compensarla completamente.
In genere si dice che a questa età non si peggiora più, ma semplicemente perché si è toccato il fondo.

Ma cosa si intende per lontano e vicino?

Quando si parla di vicino si intende la dstanza normale di lettura, ma anche lo schermo del computer, il telefonino o il navigatore della macchina.

Possiamo considerare comunque oggetti lontani tutti quelli che sono ad una distanza superiore ai tre metri, come si vede si tratta di un lontano abbastanza prossimo.
E' un po' quello che succede quando si regola ad infinito l'obiettivo della macchina fotografica.

Tutto quello che sta al di la di tre metri viene visto a fuoco da un occhio normale senza sforzo, dal televisore all'automobile che ci precede quando stiamo guidando, fino alle stelle che sono distanti anni luce e non è un caso che i tabelloni degli ambulatori oculistici siano situati ad una distanza di almeno tre metri.

Tutto quello che sta più vicino richiede invece un certo impegno accomodativo, ma questo non è lineare, ma aumenta in maniera esponenziale.
Per vedere ad un metro di distanza lo sforzo è relativamente modesto, ma si triplica per la distanza di lettura ed è addirittura decuplicato se si vuole distinguere oggetti a dieci centimetri.
Ecco perché chi ha perduto l'elasticità del cristallino non si lamenta di non vedere oggetti a due metri di distanza, ma rileva difficoltà alla lettura o anche per leggere il nome su un campanello o a prendere un caffè in un distributore automatico.

La Miopia

Miopia| Dr Roberto Carnevali Oculista

Si è detto che nell'occhio normale i raggi luminosi che arrivano da oggetti lontani, quindi paralleli, vengono focalizzati sulla retina dall'occhio a riposo.

Nel caso della miopia questi focalizzano prima, quindi sulla retina si forma una immagine sfuocata.

La cosa è illustrata nella figura.

In queste condizioni quindi un soggetto miope vedrà sfuocati gli oggetti lontani.

Gli oggetti vicini invece, i cui raggi luminosi arrivano divergenti, finiranno col focalizzarsi sulla retina senza mettere in gioco l'accomodazione o almeno utilizzandola in misura inferiore rispetto all'occhio normale; tutto naturalmente dipende dall'entità del difetto.
Vedremo comunque di chiarire meglio questo concetto tra poco.

La miopia è in genere legata ad una eccessiva lunghezza dell'occhio, ma ragionando in termini di obiettivo dovremmo dire che questo è troppo potente, in relazione naturalmente alle dimensioni del bulbo oculare.

E' curioso pensare che i miopi spesso descrivono il loro difetto dicendo: "Mi mancano delle diottrie'', quando nella realtà invece ce ne sono troppe. Non sto dicendo che un miope ci vede troppo, ma semplicemente che il suo obiettivo oculare è eccessivamente potente, tanto che si corregge anteponendo all'occhio lenti "negative'' con lo scopo di ridurne il potere.

Si è parlato adesso per la prima volta di diottrie, termine conosciutissimo, ma che pochi sanno dire esattamente cosa significa. La diottria è l'unità di misura del potere delle lenti.
L'entità di un vizio di refrazione, come appunto la miopia, si misura con il potere della lente, che posta sugli occhiali, è in grado di riportare il fuoco sul piano della retina.

Nel caso della miopia questa ha lo scopo ridurre il potere complessivo dell'occhio e quindi dovrà essere divergente, cosa che convenzionalmente si traduce in un potere negativo.

Le diottrie sono quindi una misura del potere delle lenti e non hanno nulla a che vedere con i decimi, con i quali non possono essere paragonate.
Torneremo più avanti su questo argomento per chiarire meglio le cose.

Ho parlato di una lente da occhiali, che convenzionalmente viene considerata ad una distanza di 12 millimetri dall'occhio.
Se utilizziamo una distanza diversa il potere si modificherà. E' quello che succede con le lenti a contatto, che essendo più vicine avranno un potere un po' diverso rispetto agli occhiali, inferiore nel caso della miopia, ma che sarà invece superiore in caso di ipermetropia.

Ma cosa succede al miope quando guarda da vicino?

Immaginiamo allora di essere di fronte ad un individuo miope, diciamo di tre diottrie.
Senza occhiali vedrà sfuocate le immagini lontane, ma se gli poniamo davanti all'occhio una lente divergente, cioè negativa, di tre diottrie gli oggetti lontani appariranno nitidi, senza mettere in gioco l'accomodazione, così come accade nell'occhio normale. Abbiamo quindi "corretto'' adeguatamente la miopia.

E per vicino?

Con gli stessi occhiali dovrà sempre fare quello che fa l'occhio normale, cioè mettere in gioco l'accomodazione e se ci troviamo di fronte ad un giovane questi riuscirà farlo senza problemi.
I giovani miopi non hanno difficoltà a leggere anche con indosso gli occhiali per lontano, faranno semplicemente lo stesso sforzo che fanno gli individui normali. Certo riusciranno a leggere anche senza occhiali e per di più sforzando meno del necessario, ma un giovane miope non ha difficoltà ad utilizzare gli occhiali per vedere la lavagna e nello stesso tempo prendere appunti ad una distanza molto inferiore.
Certo che quando è chino su un libro a studiare e non ha necessità di volgere lo sguardo lontano si accorgerà che senza occhiali ci vede ugualmente bene e per di più con un affaticamento visivo inferiore.
Non è un caso quindi che i giovani studenti miopi spesso preferiscano non utilizzare occhiali durante lo studio.

Anche il miope però invecchia, ed anche lui diventa presbite, alla stessa età degli altri.

Ad un certo punto si accorgerà che con i suoi occhiali, con cui convive ormai da anni e che sono quasi diventati una parte di lui, riesce ancora a vedere benissimo da lontano, ma comincia ad avere difficoltà a distinguere gli oggetti vicini.
Ad un certo punto è costretto a toglierli e a sfruttare il vantaggio che la miopia gli consente di vedere da vicino senza mettere in gioco l'accomodazione.

Del resto, se ci pensiamo, l'individuo normale che ha raggiunto una certa età, se vuole leggere, deve indossare occhiali che lo rendono miope per permettergli di vedere da vicino, senza utilizzare quella accomodazione che sta inesorabilmente perdendo.
Al miope basterà sfruttare quella che ha già, togliendo quegli stessi occhiali che gliela correggono.

Adesso la maggior parte delle persone anziane porta lenti progressive, che nella porzione inferiore hanno un potere adatto alla visione ravvicinata, per cui per leggere basta abbassare lo sguardo, ma in passato era frequente vedere persone miopi di una certa età togliere gli occhiali per leggere.
Qualcuno si limitava a spostarli sulla punta del naso, infatti allontanare dall'occhio una lente negativa equivale a ridurne il potere e a volte questo può bastare a consentire una visione da vicino.

L'Ipermetropia

Ipermetropia | Dr Roberto Carnevali Oculista

Si è visto che il contrario della miopia non è la presbiopia, come spesso ci hanno lasciato credere.
Nella descrizione precedente si è specificato come anche i miopi diventino presbiti ed alla stessa età di tutti gli altri.

Dal punto di vista ottico il contrario della miopia è invece l'ipermetropia.

Mentre nella miopia i raggi luminosi vanno a fuoco prima della retina nel caso dell'ipermetropia focalizzerebbero dietro.
In genere questo accade perché l'occhio è troppo corto, ma considerando l'obiettivo, potremmo dire che non è sufficiente tanto che per correggere questo difetto è necessario potenziarlo, questa volta con lenti positive, vale a dire convergenti.

Se però ci pensiamo un occhio ipermetrope che guarda lontano si trova nelle stesse condizioni di uno normale che sta guardando un oggetto vicino.
Anche in questo caso i raggi luminosi focalizzerebbero dietro alla retina, ma è possibile fare intervenire l'accomodazione che, aumentando il potere del cristallino, riporta il fuoco nella giusta posizione.

Bene l'ipermetrope può fare la stessa cosa anche guardando da lontano, spendendo una quota della sua capacità accomodativa già nella visione distante.
Naturalmente per vicino lo sforzo sarà ancora maggiore, tuttavia se l'individuo è giovane e il difetto non è troppo elevato la cosa riesce perfettamente.

Un giovane ipermetrope riesce spesso a vedere bene, sia da lontano che da vicino, soltanto a spese di uno sforzo.
I sintomi dell'ipermetropia, almeno in giovane età, non sono infatti caratterizzati da una diminuzione dell'acutezza visiva, ma solo da fenomeni di affaticamento, a patto naturalmente che il difetto sia abbastanza lieve.

Ipermetropi si nasce, ma spesso questo difetto in tenera età non viene evidenziato.
La grande capacità accomodativa che caratterizza le persone giovani fa si che spesso questo passi completamente inosservato.

Con l'età il difetto non peggiora, anzi spesso si ha un certo miglioramento durante l'adolescenza, grazie alla crescita e quindi all'allungamento dell'occhio.
Tuttavia con l'età la capacità accomodativa progressivamente si riduce e a poco a poco l'ipermetrope comincia ad accusare qualche problema soprattutto nella visione da vicino, dove lo sforzo di messa a fuoco è maggiore.
I fenomeni di affaticamento visivo diventeranno sempre più accentuati e ad un certo punto cominceranno a comparire i primi problemi alla lettura ad una età inferiore rispetto a quanto accade agli individui normali.
Se una persona di 30 anni riferisce difficoltà nella visione da vicino siamo probabilmente di fronte ad un ipermetrope, che riesce ancora a compensare con sforzo il proprio difetto da lontano, ma ha difficoltà quando a questo si aggiunge quello necessario a vedere a distanza ravvicinata.

In questo caso un oculista dovrebbe prescrivere occhiali da portare costantemente, che permettano di vedere da lontano con l'occhio rilassato.
Con gli stessi occhiali, per vedere vicino, sarà necessario il normale sforzo che fanno tutti e che in giovane età è sicuramente ancora possibile.
Spesso però non è facile convincere queste persone che il loro problema sta nella visone lontana e ancor meno persuaderli ad indossare occhiali a permanenza.

Poi col passare del tempo e con la progressiva riduzione della capacità accomodativa, anche la vista da lontano comincia a risentirne. L'ipermetrope non è più in grado di sostenere lo sforzo necessario a focalizzare nemmeno gli oggetti distanti e prima o poi si deve rassegnare ad utilizzare occhiali a permanenza.
Però questi, se calcolati per una visione lontana, non permetteranno più vedere anche da vicino e per farlo sarà necessaria una lente ancora più potente.
Oggi gli ipermetropi di una certa età in genere utilizzano lenti progressive, ma in passato erano costretti ad utilizzare due paia di occhiali, scambiandoli in base alla distanza.

In genere un ipermetrope tende ad attribuire il suo peggioramento della vista a qualche causa più o meno fantasiosa, come l'uso del computer e resta incredulo quando si cerca di spiegargli che il suo difetto è presente da sempre e non si è praticamente mai modificato, mentre si tratta solo della perdita della capacità di compensarlo con quello sforzo che si è progressivamente ridotto con l'avanzare dell'età.

L'ipermetropia è un difetto difficile da misurare.

Il fatto che possa essere compensato con uno sforzo di accomodazione, che ogni ipermetrope tende a mantenere anche nel corso di una visita oculistica, fa si che questo venga facilmente sottovalutato.
Del resto non si può pretendere che un individuo, che per tutta la vita si è abituato ad utilizzare la sua capacità di accomodazione per vedere anche gli oggetti lontani, smetta improvvisamente di farlo accettando una correzione completa con lenti.
Spesso ci si deve accontentare di prescrivere una correzione parziale che poi andrà progressivamente aumentata nelle visite successive.

Quando un oculista vuole misurare con precisione l'entità di una ipermetropia dovrebbe praticare un esme in "ciclopegia''.
Si tratta dell'esame con le gocce che "dilatano la pupilla'', che in genere si pratica ai bambini.

La dilatazione della pupilla in realtà non è quello che si vuole ottenere, ma un effetto collaterale, di cui si farebbe volentieri a meno. La realtà è che questi farmaci, oltre a dilatare la pupilla, paralizzano il muscolo che serve per l'accomodazione.
In questo modo è possibile misurare la vista eliminando la possibilità di compensare il difetto con lo sforzo di messa a fuoco e quindi nel caso di ipermetropia è possibile ottenere una misurazione precisa.

Il motivo per cui questo esame vene praticato nei bambini è abbastanza ovvio.
Questi hanno una capacità accomodativa enorme, in grado di compensare anche difetti importanti e senza una misurazione in cicloplegia si possono commettere grandi errori di valutazione.

Nell'adulto in genere non è necessario e si cerca di evitarlo, anche perché è abbastanza fastidioso.
In questi casi la capacità accomodativa si è già enormemente ridotta per l'età e le possibilità di errore sono molto ridimensionate.

In alcuni casi tuttavia si rende necessario, quando si vuole una misurazione molto precisa, come ad esempio nella valutazione prima di eseguire un intervento di chirurgia refrattiva.
Nella prescrizione di occhiali si può accettare una lieve sottovalutazione del difetto che andrà poi corretta nelle visite successive, ma un intervento richiede ovviamente una precisione assoluta.

L'Astigmatismo

Perché un occhio veda nitidamente è necessario che i raggi luminosi che provengono dall'esterno siano focalizzati in un
punto e che questo sia situato sull'asse ottico.
Nel caso della miopia e dell'ipermetropia si è visto che queste due condizioni sono effettivamente rispettate, solo che questo punto non coincide con la retina, ma viene a cadere davanti o dietro.

Una lente sarà in grado di focalizzare ad una distanza più o meno ravvicinata in relazione al proprio potere,
ma perché i raggi luminosi si concentrino esattamente in un punto è necessario che questa sia ben costruita e per questo
in genere si dice che le sue facce devono essere esattamente delle calotte sferiche.

In realtà questa affermazione non è del tutto esatta, ma non complichiamo troppo le cose e per quello che vogliamo esporre è più che sufficiente.

Possiamo definire una calotta sferica come la sezione di una sfera ed in questo modo otterremo una superficie che ha la medesima curvatura in ogni suo punto.

Quindi diciamo che una lente le cui facce sono esattamente delle calotte sferiche focalizzerà esattamente in un punto sull'asse ottico, mentre la distanza focale dipenderà dal potere delle lente stessa, vale a dire dall'entità della curvatura
delle sue facce.

Immaginiamo adesso di ottenere una calotta sezionando non una sfera, bensì un solido di forma ellissoidale
e come esempio possiamo immaginare un pallone da rugby.

Astigmatismo | Dr Roberto Carnevali Oculista

Questo è illustrato nella figura.

La calotta così ottenuta non è sferica, ma sarà più curva su un meridiano e più piatta su quello perpendicolare, mentre quelli intermedi avranno una curvatura intermedia.
Bene se la superficie ottica di una lente, anziché essere sferica ha questa forma, si dice che la lente è astigmatica.
Questa, che potremmo definire una imperfezione nella costruzione della lente, fa si che i raggi luminosi non focalizzino più in un punto, ma si disperdano in una zona più o meno ampia in relazione alla differenza di curvatura tra i due meridiani.

E' ovvio che se una lente così costruita fa parte di un sistema ottico produrrà immagini sfuocate.

L'occhio è formato da due lenti, la cornea ed il cristallino.
L'astigmatismo di solito si determina a causa di una irregolarità della della cornea, che in genere risulta più
curva dall'alto in basso piuttosto che tra destra e sinistra. Tecnicamente si dice che il meridiano verticale della cornea è più curvo rispetto a quello orizzontale. In questo modo la cornea finisce con l'essere più potente sul primo rispetto al secondo.

E' ovvio che una situazione di questo genere porta ad una sfocatura delle immagini, sia da lontano che da vicino
e la sua entità sarà determinata dalla differenza di curvatura tra i due meridiani principali.
Inoltre non può essere influenzato dall'accomodazione, come si è visto avviene nell'ipermetropia.

Come si corregge l'astigmatismo? Con lenti astigmatiche naturalmente.

La cosa è piuttosto complessa, ma anche l'astigmatismo si misura in diottrie, che vengono definite "cilindriche'' ed esprimono appunto la differenza di potere tra i due meridiani principali.
Queste dovranno essere dello stesso astigmatismo dell'occhio, ma rispetto a quest saranno posizionate sull'occhiale ruotate di 90 gradi.
In questo modo i raggi luminosi saranno deformati prima dalla lente e poi "raddrizzati'' dall'astigmatismo oculare.
Naturalmente bisognerà calcolare non solo il potere della lente, ma anche la sua rotazione, per questo motivo nella prescrizione delle lenti astigmatiche viene indicato anche l'asse.

La cosa è ancora più complicata dal fatto che in genere l'astigmatismo non si manifesta da solo, ma di solito associato a miopia o ad ipermetropia, per cui nella prescrizione di occhiali bisogna tenere conto di entrambi i difetti.

L'astigmatismo è legato alla forma della cornea e quindi di solito non si modifica, rimanendo costante nel corso di tutta la vita.

Questo è quanto accade di solito, esistono tuttavia anche astigmatismi definiti "contro regola'' in cui la cornea è più curva sul piano orizzontale rispetto a quello verticale o altri chiamati `"interni'' per significare che questa alterazione è a carico del cristallino.
Altre volte l'astigmatismo è dovuto a modificazioni che la cornea subisce in seguito a malattie e in questo caso potrà
subire variazioni nel tempo.
Insomma si tratta di un argomento complesso ma quanto è stato descritto dovrebbe essere sufficiente a chiarire le idee.

Decimi e diottrie

Risoluzione| Dr Roberto Carnevali Oculista

La precisione di ogni strumento ottico viene misurata in base a quello che viene definito "potere di risoluzione'' dove con questo termine si indica la minima distanza tra cui devono essere separati due punti perché possano essere percepiti come distinti.

 

Nella figura, sulla parte sinistra si vedono due punti nitidi e chiaramente separati tra di loro.
Nella parte destra sono raffigurati altri due punti alla stessa distanza, ma che presentano dei margini sfocati e che quindi si sovrappongono in parte tra di loro, cosa che impedisce di vederli come distinti.

Nessun obiettivo è perfetto e un punto non viene mai proiettato come tale su uno schermo, ma avrà sempre un alone di sfocatura. Tuttavia quanto maggiore è la precisione con cui è costruito uno strumento ottico, tanto minore sarà la distanza con cui possiamo separare i due punti perché vengano percepiti distinti.

Anche all'occhio si applica questa regola, tuttavia parlando della distanza di separazione tra due punti, dobbiamo considerare non solo quella che li separa tra di loro, ma è necessario considerare anche quanto sono lontani dall'occhio.
Per questo motivo, per definire il potere di risoluzione si parla di "distanza angolare''.
La cosa è più semplice di quanto sembra ed è illustrata nella figura.

Distanza angolare | Dr Roberto Carnevali Oculista

Sulla sinistra si vedono due punti, uno sopra l'altro, separati tra di loro.
Tracciamo allora due linee rette che congiungono ciascuno di questi punti con l'occhio.
Queste rette si uniranno in corrispondenza dell'occhio stesso a formare un angolo che sarà tanto più ampio quanto più i punti sono distanti tra di loro, ma tanto più piccolo quanto maggiore sarà la distanza che li separa dall'occhio.
Bene l'ampiezza di questo angolo viene definita come distanza angolare e viene appunto utilizzata per misurare il potere di risoluzione dell'occhio, normalmente definito come acutezza visiva.

Molto tempo fa si è cercato di stabilire quale fosse l'acutezza visiva di un occhio normale e si è arrivati a stabilire che questa deve essere uguale almeno ad un primo di arco.

Ricordiamo a questo punto che la misura degli angoli non è decimale e si fa in gradi.
Un angolo retto misura 90 gradi. Ogni grado viene poi diviso in 60 primi che a loro volta vengono divisi in 60 secondi.
Insomma l'acutezza visiva di un occhio normale dovrebbe essere di un sessantesimo di grado.

E' però evidente che nella pratica clinica non si possono fare delle misurazioni mostrando dei punti e chiedendo se si vedono più o meno distinti, occorreva escogitare un sistema più pratico e quindi è stato adottato il riconoscimento delle lettere dell'alfabeto e da qui è nata la scala dei decimi, che crea così tanta confusione nei non addetti ai lavori.

In pratica le lettere che corrispondono ai 10/10 sono tali per cui la distanza angolare degli elementi che le compongono corrisponde ad un sessantesimo di grado, corrispondente a quella che viene considerata l'acutezza visiva normale.

Decimi e diottrie | Dr Roberto Carnevali Oculista

Se qualcuno desidera conoscere come scaturisce la misurazione in decimi provo a spiegarla.
E' un po' complicata e non è indispensabile comprenderla ma può servire a soddisfare la curiosità di qualcuno.


Tutti avranno visto il tabellone delle lettere che si trova negli ambulatori oculistici, ce ne sono di due tipi, da posizionare alla distanza di tre oppure di cinque metri.
Negli studi più moderni viene usato un proiettore oppure uno schermo piatto, come quelli dei computer, che viene appeso al muro e su cui compaiono le lettere dell'alfabeto di varia grandezza, regolabile in base alla distanza, ma noi prendiamo uno dei vecchi tabelloni e scegliamo quello da cinque metri.

In cima c'è una lettera molto grande, spesso una E maiuscola sotto la quale possiamo vedere scritto in piccolo 1/10.
Questo vuol dire che se un individuo seduto a cinque metri di distanza riesce a distinguere solo questa e non quelle più piccole che stanno nelle righe più in basso, ha una acutezza visiva di 1/10.
Non si tratta certo di una vista invidiabile, ma come vedremo è molto meglio di quanto si pensi.

Questa lettera ha delle dimensioni ben precise, è alta 7.25 centimetri mentre gli elementi che la compongono sono separati tra di loro di 1.46 centimetri. Ecco perché spesso si tratta di una E.
Ogni tratto orizzontale di questa E è spesso appunto 1.46 centimetri e altrettanto misurano gli spazi bianchi che li separano.
Quindi tre linee nere orizzontali più due spazi bianchi che li separano sono in tutto cinque tratti. Moltiplicate 1.46 per 5 e ottenete 7.25.

Ma perché cominciamo con l'esaminare la lettera che corrisponde alla vista di 1/10 e perché ha proprio queste dimensioni?

Immaginiamo allora di mettere questa lettera a 50 metri di distanza.
A questo punto se congiungiamo i margini di ogni tratto che la compone con l'occhio avremo una distanza angolare di un sessantesimo di grado, corrispondente all'acutezza visiva normale.
Naturalmente l'altezza dell'intera lettera sarà di cinque sessantesimi di grado, ma per poterla leggere bisogna riuscire a discriminare le singole componenti.

Insomma se un individuo riesce a distinguere la lettera a 50 metri di distanza vuol dire che ha una acutezza visiva normale.
A questo punto esprimeremo la sua vista con una frazione: 50/50, che sta a significare che la lettera che doveva essere vista a 50 metri è stata effettivamente riconosciuta a questa distanza.
La frazione 50/50 viene poi in genere semplificata in 10/10.

E se la lettera non viene vista?
Semplicemente chiederemo al nostro individuo di avvicinarsi lentamente e di fermarsi non appena la riconosce.
Supponiamo ad esempio che questo accada quando la persona che stiamo esaminando si trova a 40 metri.
A questo punto esprimeremo l'acutezza visiva sempre con una frazione questa volta 40/50.
Da notare che al denominatore rimane sempre il valore di 50 che è quello che corrisponde alla distanza alla quale la lettera stava all'inizio e a cui dovrebbe essere vista da un individuo normale.
Al numeratore compare invece la distanza a cui viene effettivamente riconosciuta.

La frazione 40/50 viene poi semplificata in 4/5 e quindi 8/10.

Se la lettera viene vista a 25 metri l'acutezza visiva sarà di 25/50 cioè 5/10, a 10 metri 10/50 cioè 1/5 e quindi 2/10.

Se poi la lettera viene vista solo a 5 metri di distanza succede quello che capita nello studio oculistico, la lettera che dovrebbe essere distinta a 50 metri viene riconosciuta solo a 5 metri di distanza, quindi con una acutezza visiva di 5/50 vale a dire 1/10.

Naturalmente non sarebbe opportuno far camminare una persona avanti e indietro per 50 metri per misurargli la vista,
per cui i tabelloni che troviamo negli studi oculistici hanno poi tutta una serie di lettere più piccole, di dimensioni ben calibrate, in modo da sottendere una grandezza angolare corrispondente all'acutezza visiva dichiarata.
Da notare che le lettere corrispondenti alla linea dei 10/10 a cinque metri di distanza hanno le stesse dimensioni che avrebbe la lettera di 1/10 a 50 metri.


La misurazione della vista in decimi presenta non pochi inconvenienti e sembra fatta apposta per creare incomprensione nei non addetti ai lavori. Peraltro è stata ampiamente criticata, ma ormai è entrata nella pratica comune e viene universalmente utilizzata.

Il primo problema è rappresentato dal fatto che si tratta di una scala per misurare la vista a chi tutto sommato ci vede discretamente.
Un individuo con 1/10 non ha certamente una vista invidiabile, ma è comunque in grado di girare per strada senza troppe difficoltà.
Se invece dobbiamo quantificare l'acutezza visiva per redigere un certificato per invalidità per persone ipovedenti dovremo utilizzare la scala dei ventesimi o dei cinquantesimi.

Il problema più importante però è legato al fatto che la scala dei decimi non è lineare, nel senso che i gradini che la compongono non sono tutti uguali, ma si vanno progressivamente rimpicciolendo mano a mano che si sale verso i valori più alti. In altre parole la differenza tra uno e due decimi è enorme, mentre poi si riduce progressivamente, tanto che quella tra nove e dieci è molto piccola.
Dicendo ad una persona che ha 5/10 si finisce col creare inutili apprensioni lasciandogli intendere che ha perso la metà delle sua capacità visive.
Il valore di 5/10 è invece molto più vicino a 10/10 che ad 1/10, per di più in una scala che parte già da valori di visione non così scarsi.

Si capirà anche che non ha senso affermare "Ho perso tre decimi di vista'', come se la capacità visiva si fosse ridotta del trenta per cento, solo perché ad una visita oculistica è risultata una acutezza visiva di 7/10. Tuttavia si tratta di una frase che si sente ripetere spesso.

Ma c'è un altro argomento che è importante affrontare per sfatare alcuni luoghi comuni riguardo all'acutezza visiva.
Quest'ultima è un parametro biologico, al pari di quelli valutati dagli esami di laboratorio come la glicemia, l'azotemia o il numero di globuli rossi.

Tutti questi non hanno un valore assoluto, ma devono oscillare in un intervallo di normalità.
Anche l'acutezza visiva si comporta nello stesso modo e 10/10 non è affatto il valore massimo, ma piuttosto quello minimo, al di sotto del quale è lecito aspettarsi qualche malattia oculare.
Nella normale pratica clinica non è necessario esplorare valori di acutezza visiva superiori, tanto che molti dei tabelloni usati per la misurazione arrivano a mostrare lettere corrispondenti al massimo ai 10/10 senza andare oltre.

E' normale che un giovane sano abbia una acutezza visiva superiore a 10/10, solo che spesso, nel corso di una normale visita oculistica non viene valutata.
E' sufficiente accertarsi che l'individuò raggiunga il minimo necessario per poter affermare che la vista rientra nella normalità.

In realtà l'intervallo normale di acutezza visiva oscilla tra 10/10 e 20/10 con una media di 16/10.

Qualcuno resterà sorpreso da questa affermazione, ma come si è detto prima, teniamo sempre presente che si tratta di un scala i cui gradini vanno progressivamente rimpicciolendosi, per cui 20/10 non è affatto il doppio di 10/10 e il valore medio di 16/10 non è poi così irraggiungibile.

E' curioso pensare che spesso si trova qualcuno che si vanta di avere 11/10, sentendosi dotato di una vista eccezionale, solo perché qualche volta ha letto l'ultima riga di un tabellone che arrivava a questo valore, senza sapere che in questo modo ammette di avere una acutezza visiva inferiore alla media.

E' chiaro che tutte le malattie oculari come cataratta, malattie della retina o del nervo ottico sono in grado di compromettere l'acutezza visiva.

Fortunatamente nella maggior parte dei casi la causa risiede in uno dei vizi di refrazione che sono stati descritti in precedenza come miopia od astigmatismo e che sarà possibile correggere con lenti.
Queste ultime riporteranno il fuoco dei raggi luminosi sulla retina e l'entità del difetto verrà quantificata sulla base del potere della lente necessaria ad ottenere questo risultato e quindi espressa in diottrie, dato che questa è l'unità di misura del potere delle lenti.

In genere nel corso di una visita oculistica l'acutezza visiva senza occhiali, in decimi naturalmente, di una persona affetta da un vizio di refrazione non interessa più di tanto e spesso non viene nemmeno misurata a meno che non sia necessario redigere un certificato che la richiede, come ad esempio per la patente di guida.

Quello che importa è misurare con precisione il potere della lente, in diottrie naturalmente, necessaria a riportare il fuoco dei raggi luminosi sulla retina e quindi a neutralizzare il difetto.
Questo valore, espresso in diottrie, quantificherà l'entità del difetto e come si deduce non ha nulla a che vedere con l'acutezza visiva in decimi.

A questo punto però all'oculista resta un'ultima cosa importante da fare, vale a dire misurare l'acutezza visiva di questo individuo con indosso la lente correttiva in grado di neutralizzare il difetto, per accertarsi che raggiunga il valore normale di almeno 10/10.

Se questo non accade e l'acutezza visiva è inferiore nonostante la lente correttiva, vorrà dire che l'occhio è affetto da qualche altra malattia in grado di compromettere la visione.

E' possibile che un individuo non abbia vizi di refrazione, ma sia affetto da una malattia oculare, come una cataratta o una distrofia maculare.
In questo caso avrà una acutezza visiva sicuramente ridotta, quantificabile in decimi, ma non avrà bisogno di occhiali per cui non ha senso parlare di diottrie.

Non solo decimi

La misurazione dell'acutezza visiva in decimi esprime, come abbiamo visto il potere di risoluzione dell'occhio e ne esprime quindi la precisione dal punto di vista ottico. Al di la della presenza di vizi di refrazione o di malattie oculari, l'acutezza visiva di un occhio sano può variare in base a diverse caratteristiche come la regolarità delle lenti che ne compongono l'obiettivo o la funzionalità della retina.

L'acutezza visiva definisce però la capacità di discriminare le figure piccole, ma non è l'unico elemento in grado di determinare quella che possiamo definire "qualità della visione''.

A determinarla concorrono molti fattori come la sensibilità al contrasto, la visione dei colori, la capacità di vedere a bassa intensità luminosa o il tempo di recupero dopo un abbagliamento.
Tutti questi aspetti possono essere valutati, ma richiedono esami specifici e non si quantificano misurando l'acutezza visiva davanti ad un tabellone.

Vedere 10/10 quindi non basta per avere una buona visione.

Un altro aspetto molto importante riguarda il campo visivo.
Si tratta sostanzialmente dell'ampiezza dell'angolo visuale, cioè di quanto si estende la nostra vista lateralmente o dall'alto in basso. In parole semplici ci dice quanto è ampia la nostra visione con la coda dell'occhio.

Alcune malattie del nervo ottico, come il glaucoma, almeno nelle fasi iniziali non alterano la visione centrale e quindi consentono una normale acutezza visiva. Determinano però un restringimento del campo visivo con incapacità di vedere ai lati, cosa che spesso risulta molto invalidante.

C'è una situazione paradossale, che si può verificare appunto in certe malattie del nervo ottico, in cui gli individui perdono completamente la visione periferica, mantenendo però integra quella centrale.
E' una situazione definita come "visione tubulare'' perché si realizza la stessa situazione che si verifica guardando attraverso un tubo.
Si vede perfettamente quello che si fissa, ma manca completamente la percezione dello spazio circostante.

Paradossalmente queste persone, sedute davanti ad un tabellone leggono 10/10, ma poi devono essere accompagnate perché essendo completamente incapaci di orientarsi nell'ambiente che li circonda si comportano come ciechi.